La sindrome di Ulisse

(ottobre 2007)

 

Da quando la ricerca medica ha cominciato a compiere i primi passi, si sono sviluppate tecniche molto sofisticate d’immagine che permettono diagnosi più precise. Parallelamente è aumentata la difficoltà di scelta per i medici, che devono essere in grado di utilizzare questi strumenti molto efficaci in modo appropriato. Come sempre, la ricerca s’impegna per produrre mezzi che, se ben utilizzati, sono spesso molto utili all’umanità. D’altra parte i costi che la ricerca deve affrontare vanno ammortizzati per produrre guadagni per l’industria. Può accadere così che, per promuovere l’utilizzo degli ultimi ritrovati, si forzi un po’ il mercato con una pressione continua attraverso convegni organizzati e mezzi di diffusione. Il martellamento delle notizie, che mettono in risalto quasi esclusivamente i benefici delle ultime scoperte, a volte può mettere in difficoltà anche i medici per i quali diventa difficile adottare i comportamenti prescrittivi più razionali. Può accadere così, che in alcuni casi si ecceda nella richiesta d’esami radiografici sottovalutando l’impatto che le radiazioni possono avere sui pazienti e sull’ambiente. Da un’indagine effettuata con il progetto Stop Useless Imaging testing, (da Avvenire Medico 6-2007) illustrato in diverse città italiane dal ricercatore del CNR Eugenio Picano, emergono dei dati preoccupanti. Sembra, infatti, che il 30-50% delle richieste d’esami di diagnostica per immagini, che normalmente sono richieste dai medici, sia costituito da esami solo parzialmente necessari o addirittura inutili. Se consideriamo gli effetti socio-sanitari negativi di questi dati, ci rendiamo conto che siamo di fronte a consuetudini che andrebbero modificate per non provocare danni alla salute dei pazienti ed all’ambiente con le radiazioni emesse dagli esami radiologici. Bisogna considerare, infatti, che già normalmente in natura esistono delle fonti di radioattività naturale alle quali siamo tutti esposti. Fin da quando è iniziato il ciclo evolutivo della Terra, la materia era formata da sostanze radioattive e non radioattive. Col trascorrere dei secoli, la maggior parte degli elementi radioattivi hanno cessato d’essere tali. Tuttavia, esistono ancora oggi fonti di radiazione naturale, che determinano un’esposizione per l’uomo, pari a circa 2,4 millisievert (mSv) l’anno. Per mSv s’intende la millesima parte del Sievert che è l’unità di misura adottato per valutare gli effetti biologici dovuti alle dose di radiazioni assorbita. Per fare un esempio pratico, si può considerare che in Italia la dose di radioattività naturale, cui é sottoposto annualmente ciascun individuo, é pari approssimativamente alla dose assorbita da una radiografia del torace moltiplicata per venti. Le normative vigenti in Italia stabiliscono che la dose massima a cui la popolazione in generale può essere esposta, senza subire danni, corrisponde a 1 millisievert/anno in più rispetto alla radiazione naturale (2,4 mSv l’anno). La richiesta d’esami non indispensabili, quindi, provoca innanzi tutto nei pazienti un rischio dovuto all’esposizione delle radiazioni. Inoltre, determina un allungamento delle liste d’attesa che procura danni a chi ha necessità effettiva di praticare un’indagine e incrementa inutilmente, la spesa sanitaria e quella per smaltire le varie sostanze inquinanti utilizzate. Nei paesi industrializzati, l’irradiazione dovuta alle indagini mediche ha raggiunto, ormai, i 2,4 mS l’anno che corrisponde alla radioattività naturale. La discussione sull’impatto ambientale e sociale delle radiazioni diagnostiche è sempre attivo perché è difficile stabilire livelli certi oltre i quali le radiazioni possono essere cancerogene. Gli effetti nocivi delle radiazioni, variano molto se si considerano diversi parametri. Il rischio, ad esempio, è tanto più alto quanto più precoce è l’età al momento dell’irradiazione. A molte donne, nel prenotarsi per un’indagine radiologica, sarà capitato di sentirsi richiedere il test di gravidanza e se ne saranno chiesto il motivo. Il test serve ad escludere un'eventuale gravidanza perché le radiazioni potrebbero danneggiare gravemente il feto provocando malformazioni irreversibili. Gli effetti, inoltre, variano secondo la dose di radiazioni ricevuta del tipo delle radiazioni e del tempo d’esposizione. L'esposizione a dosi più o meno elevate di radiazioni ionizzanti può avere effetti a lungo termine che possono provocare cancro o leucemia. Tali effetti si manifestano in modo imprevedibile e questo non consente di previsioni certe per ciascuna persona sottoposta alle radiazioni. Si parla, infatti, di probabilità di accadimento, che cresce o diminuisce secondo l’entità più o meno rilevante della dose assorbita. Il calcolo di tale probabilità è ricavata dai dati sperimentali ottenuti osservando le conseguenze dell'esposizione alle radiazioni su persone o gruppi di persone. Molti studi sono stati compiuti sui giapponesi sopravvissuti alle esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Altre ricerche vengono effettuate sui lavoratori e le popolazioni limitrofe esposti alle conseguenze d’incidenti in insediamenti nucleari. Tra questi, forse il più conosciuto è quello di Chernobyl, ma nel mondo ne sono avvenuti altri di cui si è parlato di meno. A partire dal 1952 (quando a Chalk River (Canada) l'errore di un tecnico provocò una reazione che portò alla semidistruzione del nocciolo del reattore) ai giorni nostri, se ne sono verificati per lo meno uno l’anno. Si è potuto così stabilire che la probabilità d’insorgenza di cancro o leucemia è in relazione alla quantità delle dosi ed ai modi e tempi d’esposizione. Anche se i danni da radiazione si misurano in termini di probabilità, a testimonianza della potenziale pericolosità, le radiazioni che derivano da indagini mediche, sono considerata dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) tra i primi 101 elementi considerati cancerogeni. Sarebbe auspicabile quindi un’inversione di tendenza per dar luogo ad una razionalizzazione dell’impiego di indagini radiologiche. Negli ultimi tempi, il giusto diritto alla salute, viene confuso da parte dei cittadini, con le richieste continue di indagini radiodiagnostiche che il più delle volte non servono tanto alla formulazione di diagnosi corrette, quanto alla gratificazione dei richiedenti che, fiduciosi delle nuove tecnologie e sollecitati da consigli non sempre disinteressati, sono convinti che basta eseguire l’esame più in voga per rassicurarsi sul proprio stato di salute. D’altra parte, i cittadini richiedono quello che loro pensano sia giusto per vivere meglio, non hanno le competenze tecniche e scientifiche per fare delle scelte razionali. E’ dovere degli operatori sanitari e degli organi dello stato competenti formulare delle linee guida utili per facilitare percorsi diagnostici effettivamente appropriati per ottenere diagnosi precoci per una reale prevenzione e messa in atto di cure appropriate. In effetti alcune normative ci sono: il Dlgs 187/2000l, la direttiva 97/ 43 Euratom e le Linee Guida Stato Regione del 2004. Esse, però, vengono spesso disattese e cominciano così quei pellegrinaggi definiti Sindrome di Ulisse per cui spesso accade che il paziente vaga da uno studio all’altro, di esame in esame, senza giungere ad alcuna meta. Purtroppo è  difficile interrompere questi circoli viziosi  perché nessuno può o vuole inimicarsi gli utenti, che pretendono quello che i mezzi di informazione presentano come la soluzione per tutti i problemi, senza esaminare caso per caso l’effettiva utilità delle indagini più recenti. Se tutto questo può succedere, è evidente che c’è una grave deficit nei sistemi di comunicazione. A volte si  diffondono notizie che generano false aspettative tra i cittadini, senza fornire loro i mezzi per distinguere tra i benefici delle indagini radiologiche ed i rischi a cui potrebbero essere esposti. Le società scientifiche, gli ordini dei medici e gli organi statali preposti dovrebbero adoperarsi per sensibilizzare al problema la popolazione e far giungere notizie attendibili e facilmente comprensibili ai cittadini. Solo così essi sarebbero messi in grado di scegliere il meglio per la propria salute  adottando, eventualmente, comportamenti meno ipermedicalizzati. E’ auspicabile inoltre una mediazione tra la medicina altamente specialistica che tende a scomporre il corpo umano in tanti pezzi da esaminare singolarmente e quella più tradizionale che ha una visione di insieme del corpo umano, ecologica ed ambientale di salute e malattia. Medici, pazienti e Stato, dovranno collaborare, per mettere in pratica un sistema sanitario che, in tutte le sue componenti, abbia un comportamento teso a favorire una condizione di salute ottimale per tutti e la preservazione di un ambiente il più salubre possibile.

 

Dott. Regolo RICCI