Anche i medici si ammalano

 

La possibilità di ammalarsi, è stata sempre una delle cose che più ha preoccupato l’umanità, perché, oltre alla sofferenza fisica, la malattia non consente di svolgere una vita normale. Non c’è dubbio che la malattia è temuta perché determina sofferenza ed espone al pericolo di morire. Ci sono,però, anche altri motivi che aumentano il timore di ammalarsi. C'è da considerare, ad esempio, la capacità che hanno i mass-media di amplificare i problemi, suscitando a volte delle paure collettive ingiustificate come nel caso dell’aviaria e della meningite quando, un numero tutto sommato limitato di casi di infezione, hanno fatto temere un disastro cosmico. Quando si è malati, poi, si teme l’isolamento perché bisogna trascurare il lavoro con possibili ripercussioni sulla vita di relazione familiare e sociale. D’altra parte, mentre i ritmi di vita moderni sono sempre più incalzanti le, malattie continuano ad avere i loro tempi di evoluzione che possono richiedere lunghe cure per recuperare una forma fisica accettabile. Tutto questo genera nelle persone una paura di ammalarsi, che è legata alla difficoltà di accettare la malattia come malessere fisico, il timore di non essere curati  adeguatamente per il cattivo funzionamento del sistema sanitario, l'impossibilità da parte di familiari o amici disposti a prendersi cura di loro, il rischio di perdere il lavoro. Bisogna considerare, inoltre, che lo stato di benessere, quella sensazione che ci fa ritenere di stare bene, è un concetto che cambia in relazione ai mutamenti dei costumi. La società attuale è incentrata su modelli di vita basati su salutismo e fisicità. Ciò determina tra i cittadini, nuove esigenze per soddisfare il proprio equilibrio psicofisico. Se pensiamo ai nostri nonni o anche ai nostri genitori ci rendiamo conto come il loro modello di vita fosse completamente diverso dal nostro. Le scelte gastronomiche erano limitate come quantità e varietà; altrettanto dicasi per le forme di divertimento che pochi potevano permettersi perché non potevano affrontarne i costi. Il lavoro, inoltre, era in gran parte manuale e prevedeva tempi di realizzazione che non consentivano riposi prolungati. La mattina bisognava alzarsi presto per raggiungere il posto di lavoro per cui la sera, non c’era tempo ne voglia per frequentare locali notturni o qualsiasi altra forma di distrazione che rubasse ore al sonno e risorse economiche ai già magri bilanci familiari. Pertanto, chi si ammalava ed era costretto a letto, doveva rinunciare a pochissime cose e soffriva di meno il senso di isolamento. Oggi, invece, le offerte di svago sono talmente numerose che, chi è allettato e deve rinunciarci, percepisce la cosa con estremo disagio. Per quanto riguarda l’alimentazione, essa era basata su poche cose utili più a nutrire che a soddisfare la golosità. Non c’era bisogno di raccomandare diete restrittive perché, per molte persone, era già difficile fare giornalmente un’alimentazione appena sufficiente. Non c’era inoltre la pubblicità incalzante che invece ai nostri giorni, con i suoi subdoli consigli, sollecita la gente a scelte alimentari e di vita costose e non necessarie. Proviamo ad immaginarci, invece, come oggi deve soffrire, ad esempio, un diabetico che vede scorrere in televisione la reclame di un numero infinito di leccornie e sa che non potrà mangiarle per non influire negativamente sul proprio stato di salute. Altrettanto dicasi per quelli che, costretti a letto per una malattia, sono bombardati dalle offerte pubblicitarie di viaggi e crociere a cui devono rinunciare. Sarebbe stato molto difficile, qualche decennio fa, immaginarsi di vedere tanta gente effettuare, footing, jogging, esercizi in palestra e corse in bicicletta, per cercare di smaltire l’accumulo di grassi superflui, causati da eccessi alimentari e vita sedentaria o sregolata. Al contrario qualcuno ricorderà quando olio di fegato di merluzzo dovevano ingurgitare i bambini perché la preoccupazione delle mamme era di vederli troppo magri. Molto spesso, dunque, la sensazione di malattia è incrementata dal disagio che si prova in situazione che impongono la rinuncia a stili di vita ritenuti simbolo di benessere e di partecipazione alla vita di relazione. Una cosa che caratterizza le malattie e che esse sono democratiche nel senso che possono colpire tutte le classi sociali, compresi i medici. Dico questo perché negli ultimi due anni ho subito due interventi chirurgici e i miei pazienti mi ponevano in genere due domande. Con la prima, mi chiedevano la conferma che anche medici si ammalano (mal comune, mezzo gaudio); con la seconda se è meglio fare il medico o il malato Alla prima domanda si può rispondere facilmente e senza esitazione perché, come già detto, la maggior parte delle malattie colpiscono in modo democratico tutti i ceti sociali. Alla seconda mi è altrettanto facile rispondere: nonostante i conflitti quotidiani con i pazienti, che l'attuale gestione della medicina pubblica provoca, è meglio fare il medico. Essere malati, infatti, oltre ad una sofferenza fisica, pone una serie di problemi, indipendenti dalla malattia vera e propria, che a volte sono difficili da risolvere se non si ha l’aiuto di familiari disposti a sacrificare il proprio tempo libero. Sottolineo familiari, perché per chi soffre è fondamentale sentirsi vicino persone con le quali c’è la massima intesa e confidenza, per non sentirsi di peso specie quando  le malattie sono croniche o comunque prevedono un lungo decorso. In questo senso io sono stato molto fortunato perché la mia famiglia mi è stata molto vicina dandomi lo stimolo a guarire al più presto e bene. Certamente un ruolo importante lo possono recitare anche gli amici, le badanti, gli infermieri, ma ci sono momenti in cui la presenza di un familiare è insostituibile per il morale del malato. I disagi del malato, purtroppo, non sono limitati alle cure e all’allettamento. Pensate per esempio a tutti gli ostacoli che può incontrare un invalido quando va in giro. Anche se sono state emanate leggi, per abbattere le così dette barriere architettoniche, esse non sempre vengono applicate correttamente. Nel  periodo in cui sono stato affetto da un’invalidità, fortunatamente per me temporanea, ho sperimentato a mie spese la difficoltà di trovare un parcheggio libero o un percorso pedonale effettivamente libero da ostacoli. Non parlo solo della mia città dove peraltro, è difficile trovare liberi i parcheggi riservati agli invalidi e camminare sotto i platini di Piazza Roma, o su qualsiasi marciapiede, senza correre il rischio di essere investiti da qualcuno che va in bicicletta. I passaggi pedonali, le precedenze, i semafori e gli stop, i sensi unici, poi, sono degli adempimenti facoltativi per la maggior parte dei guidatori. Anche altre città, non si adoperano al meglio per facilitare la vita agli invalidi. Quest’estate, per esempio, sono stato in una nota località balneare ed ho potuto notare come in troppi alberghi l’accesso è complicato da rampe di scalini molto scomodi da salire per un invalido. Pertanto, il malato, oltre alla propria malattia, deve affrontare giornalmente una serie di disagi che possono interferire negativamente sia  con la sua vita di relazione che con la possibilità e voglia di curarsi. Altre difficoltà che il malato deve affrontare, sono quelle legate all’aspetto burocratico delle prescrizioni mediche. Alcune normative vengono disattese e per  ottenere le proprie cure, bisogna fornirsi di una serie di prescrizioni ed autorizzazioni, che impongono inutili file presso il proprio medico di famiglia ed ai vari sportelli. Sempre per rimanere in tema di incomodi da superare per chi è malato e per propri familiari, ci sono le difficoltà che spesso si incontrano per contattare i medici delle corsie ospedaliere. L’infermo è pervaso continuamente da dubbi e incertezze. Anche quando gli viene assicurato che le cure e gli interventi chirurgici sono tecnicamente riusciti, basta un minimo dolorino, un banale arrossamento o il persistere della febbre, per metterlo in allarme. Non è sufficiente dedicarsi, anche se con buoni risultati, alla cura della malattia dal punto di vista strettamente medico-chirurgico per curare un malato. Bisogna essere disponibili anche a dedicare un po’ di tempo all’ascolto della sue problematiche  per aiutarlo a risolvere i suoi dubbi ed aiutarlo a guarire o ad accettare serenamente un eventuale cronicità della malattia. Oltre ad una buona applicazione delle tecnica a disposizione, quindi, per favorire il benessere degli infermi, non si devono dimenticare gli aspetti considerati. I familiari, da questo punto di vista, possono contribuire molto alle cure del malato perché, con la loro vicinanza creano un clima di serenità che è fondamentale per chi soffre. Da soli però, i congiunti non possono farcela senza l’aiuto delle autorità preposte. Quest’ultime dovrebbero adoperarsi con più impegno per facilitare l'accesso alle cure ed applicare le normative per l’eliminazione delle barriere architettoniche, la realizzazioni di spazi verdi e piste effettivamente ciclabili. Inoltre dovrebbero controllare che la vigilanza sul territorio sia attiva per prevenire ed eventualmente punire, secondo quando previsto dalle normative vigenti, chi col proprio atteggiamento provoca disagi non solo per gli invalidi ma anche per gli altri cittadini, distruggendo servizi utili alla comunità e occupando spazi riservati. Tutti insieme, inoltre, operatori sanitari, amministratori, forza pubblica, cittadini di qualsiasi età professione e ceto sociale, dobbiamo collaborare adottando un atteggiamento in linea con le caratteristiche di un popolo civile. Un maggiore senso civico nel rispetto degli altri, degli spazi pubblici e delle strutture ideate per rendere più agevole la vita ai cittadini (panchine, spazi verdi, cestini della spazzatura, percorsi e spazi riservati) permetterà a tutti, sani e malati, di fruire di servizi e strutture che possono rendere la vita più vivibile. Non dimentichiamoci che un domani potrebbe toccare a chiunque di ammalarsi e di provare grossi disagi quando nel  tentare di attraversare una strada. Cercare un parcheggio per invalidi e trovarlo occupato da chi sta bene e potrebbe cercarsi un altro posto. Percorre un marciapiede e rischiare di essere investito da una bicicletta. Cercare una panchina per riposarsi e trovarla danneggiata. Quando stiamo bene e siamo giovani siamo portati a sentirci autonomi e capaci di affrontare qualsiasi situazione. Come già detto, però, le malattie hanno una distribuzione molto democratica e così anche gli acciacchi dell’età che avanza risparmiano poche persone. Sarebbe un bello scherzo del destino se, proprio quelli, che oggi sono giovani e stanno bene, un giorno avessero bisogno di qui servizi che, nell’esuberanza della giovinezza, hanno distrutto.

Dott. Regolo RICCI