Inquinamento
(Aprile 2008)
II parte
Non è possibile affermare che una
sostanza inquina, se non ci sono studi che lo confermano e pertanto non basta
l’allarme di qualcuno che se pur animato da buone intenzioni, non ha i titoli
per farlo. Anche perché se si vuole agire efficacemente occorrono risorse
economiche che non si possono sprecare adottando rimedi non supportati da prove
attendibili. Perciò si devono attuare misure e programmi preventivi,
individuati da comitati scientifici formati per studiare l’impatto ambientale
delle sostanze tossiche ed eventuali soluzioni per prevenire i danni. I governi
mondiali, sollecitati dalle associazioni ambientaliste più accreditate e sulla
base di dimostrazioni scientifiche degli esperti sembrano ormai orientati a incrementare
risorse economiche atte a sostenere progetti per proteggere l’ambiente. Uno
degli ultimi provvedimenti adottati dalla comunità europea è la legge Reach. Si tratta del più grande
programma avviato dall’Unione Europea, fin dalla sua costituzione. L’attuazione
del piano, comporterà una spesa compresa tra i 2.8 e i 5.2 miliardi di euro. Il progetto mira alla valutazione di circa 30,000
componenti chimici che non sono mai stati sottoposti a test tossicologici,
perché messi in commercio prima del 1981. Solo in quell’anno, infatti, è
entrato in vigore l’obbligo di classificare ed etichettare le sostanze secondo
la loro pericolosità. La legge Reach si propone di sopperire all’insufficienza
d’informazione riguardo agli effetti, sia a breve che lungo termine, di tutte
quelle sostanze già esistenti sul mercato prima dell’entrata in vigore della
precedente normativa (tra il primo gennaio 1971 e il 18 settembre 1981, le
sostanze chimiche presenti sul mercato europeo – secondo l’elenco dello
European Inventory of Existing Commercial Chemical Substances – erano oltre
100,000; di queste, solo una minima parte caratterizzata). Tutti,
però dobbiamo collaborare adottando comportamenti idonei ad inquinare il meno
possibile. Le sostanze emesse nell’aria dalle attività dell’uomo
(principalmente la combustione dei combustibili fossili) hanno spesso un
effetto dannoso per l’ambiente e per la salute. Fino a qualche decennio fa,
l’inquinamento atmosferico urbano era dovuto al riscaldamento invernale
innanzitutto e, poi, al traffico automobilistico. L’uso sempre più diffuso del
metano per il riscaldamento di tipo civile ed industriale e le relative
normative sui controlli delle caldaie hanno contributo ad alleggerire l’impatto
ambientale con la diminuzione nell’aria del biossido di zolfo, ossidi di azoto,
monossido di carbonio, composti organici. Relativamente alle emissioni dal
settore trasporti stradali, purtroppo, l’aumento del numero dei veicoli e dei
chilometri percorsi ha in parte controbilanciato l’effetto positivo dovuto alla
penetrazione di veicoli meno inquinanti; questo ha fatto permanere, o comunque
non ha eliminato nella misura attesa, i problemi legati alle emissioni di
inquinanti caratteristici del traffico. Attualmente, in corrispondenza delle
aree urbane i trasporti stradali costituiscono la principale fonte di emissione
per inquinanti come ossidi di azoto, composti organici volatili (tra cui
benzene), monossido di carbonio, polveri ( in particolare polveri fini che sono
quelle maggiormente responsabili dei danni alla salute. Una società che intende
responsabilmente proteggere la salute di chi quei rischi non vuole correre
dovrebbe adoperarsi per attuare e far applicare opportune norme di protezione.
L’accesso a quote consistenti di energia è di fondamentale importanza per il
benessere di tutti noi. L’uso dell’energia, però, comporta rischi (come ogni
attività umana) e può comportare inquinamento dell’ambiente. Alcune modalità di
produzione d’energia sono più inquinanti, altre meno. Ma prima di proporre
queste ultime è necessario valutare il loro contributo pratico considerando che
non ci sono rimedi universali ed ogni soluzione dovrà considerare
scientificamente i pro ed i contro. Ad esempio, è vero che l’idrogeno quando
brucia produce solo acqua, ma non bisogna trascurare il fatto che esso non
esiste sulla Terra e va prodotto con una spesa energetica di produzione che è
superiore all’energia ottenuta dalla sua combustione. Qualcuno, quindi,
comincia a dubitare che la transizione ad un’economia ad idrogeno si possa mai
realizzare e se dovesse mai realizzarsi, ciò non è previsto avvenire prima di
diversi decenni da oggi. Anche lo
sfruttamento dell’energia solare presenta dei problemi sembra, infatti, che
l’energia necessaria ad alimentare le attività in una grande città, se ottenuta
tutta dal sole, richiederebbe una zona d’ombra equivalente ad una piccola
deforestazione, o che per ottenere dal vento una quantità di energia pari ad un
terzo del nostro fabbisogno bisognerebbe installare un numero molto consistente
di turbine eoliche. Per quanto riguarda i biocarburanti (carburanti prodotti da
piante quali le canne da zucchero) la difficoltà sta nel fatto che per ottenere
una produzione soddisfacente, si devono coltivare milioni di ettari di terreno
e ciò non è possibile in molti Stati. Tutti sono a conoscenza del fatto che le
centrali nucleari sono in grado di produrre grandi quantità di energia a costi
contenuti, ma allo stesso tempo producono quantità di scorie radioattive
praticamente ineliminabili. Da alcuni anni, a detta di esperti ci sarebbe la
possibilità di costruire centrali nucleari più sicure e con rischi minimi di
gravi incidenti. Certo il compito di produrre energia accettabili dal punto di
vista economico e di rischio per la salute non è compito semplice. Su questi
problemi si gioca il futuro dell’umanità anche perché alcuni stati cercano di
costruire centrali nucleari che come sappiamo non servono solo per produrre energia,
ma, potrebbero essere utilizzate per produrre armi micidiali D’altra parte, ci
sono nazioni come
Dott. Regolo RICCI