Senza polveri si allunga la vita

Le polveri sottili presenti nell’atmosfera, intese come l'insieme delle sostanze sospese in aria (fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi o solidi), sono un argomento relativamente recente come oggetto di attenzione dell’opinione pubblica e del mondo medico scientifico. Eppure, già alla fine degli anni ’70, l’Environmental Protection Agency (EPA), al solo scopo di ricerca, aveva avviato una rete di monitoraggio di ciò che chiamava particolato inalabile, nell’intervallo di dimensioni tra 15 e 2,5 micron (PM15 e PM2,5).

Uno storico delle PM
Da allora, per arrivare a capire che poteva essere dannoso per la salute sono passati degli anni, durante i quali si sono susseguiti studi sugli effetti negativi e sulla causalità per alcune patologie. Le attenzioni, il monitoraggio e le iniziative si sono focalizzate soprattutto sulle aree urbane, dove il particolato è considerato l'inquinante di maggiore impatto, con sforzi economici e legislativi. Con un’ipotesi di fondo: se si migliora la qualità dell’aria si migliora anche la salute e le condizioni di vita dei cittadini. Al di là del buon senso, che non può che sostenere questa correlazione, se e come il miglioramento sia misurabile è una domanda che necessita di risposte, concrete e su base scientifica. Ora ne arriva una: se si abbassa il livello del particolato nell’aria si assiste a un allungamento della vita. Questa asserzione la fanno, infatti, gli autori di un’analisi, che proprio grazie alle misurazioni pionieristiche dell’EPA continuate poi nei decenni successivi, hanno in mano i dati sull’andamento delle concentrazioni delle polveri sottili (PM2,5) in 51 città americane, in due periodi storici: dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’80 e dalla fine degli anni ’90 ai primi anni del 2000. Dello stesso periodo sono stati raccolti i dati sulla mortalità e con calcoli basati su tavole di sopravvivenza, è stata stimata l’aspettativa di sopravvivenza. Sono stati inclusi i dati di mortalità per tumore al polmone e per broncopneumopatia (BPCO), come misura indiretta dell’esposizione al fumo, fattore di rischio accertato per le due malattie, nonché variabili socioeconomiche e demografiche delle aree interessate.

Più anni respirando meglio
Gli autori sono stati in grado di fare alcune valutazioni oggettive. In primo luogo le concentrazioni delle PM2,5 sono diminuite dagli anni ’80 agli anni ’90, le aspettative di vita sono aumentate negli stessi intervalli di tempo e in entrambi i periodi sussisteva una correlazione negativa tra l’aspettativa di vita e i livelli di inquinamento. Inoltre, anche considerando le variabili l’associazione rimaneva valida e calcolabile come guadagno di circa mezzo anno di vita per ogni calo di 10 microgrammi per metro cubo. Nell’intervallo di tempo considerato il prolungamento della sopravvivenza era stimato di oltre due anni e mezzo. L’influenza delle altre variabili non è trascurabile: in misura diversa hanno contribuito a migliorare le condizioni di vita e gi effetti possono essersi sovrapposti, ma in ogni caso le evidenze sono incoraggianti. Esiste quindi una molteplicità di fattori che possono condizionare la durata della vita e la qualità dell’aria ci rientra a pieno titolo e avendo prodotto effetti positivi decisamente misurabili, fornisce uno strumento effettivo di valutazione in sede di decisioni operative a indirizzo ambientale.

Simona Zazzetta

Fonti
Fine-particulate air pollution and life expectancy in the United States. Pope CA 3rd, Ezzati M, Dockery DW. N Engl J Med. 2009 Jan 22;360(4):376-86