Il decumano massimo di Bovianum
Il nome Bovianum, che compare nei testi di molti storici greci e latini tra cui Cicerone, Appiano Alessandrino, Plinio il Vecchio, Silio Italico, Tito Livio, evoca la capitale di un popolo fiero e coraggioso: i Sanniti-Pentri, oppure l’importantissimo municipium romano ove Vespasiano inviò i veterani della XI legione Claudia. Metropoli scomparse, solo poche testimonianze archeologiche ed epigrafiche ne difendono il ricordo.
Attualmente Bojano, a causa degli infausti avvenimenti storici - guerre, incendi, assedi - e dei disastrosi eventi naturali - terremoti, frane, alluvioni -, non presenta molte emergenze architettoniche.
Tuttavia è possibile, con una certa approssimazione, ricostruire lo schema urbano in età romana sia attraverso una attenta lettura dell’impianto sopravvissuto, sia interpretando le notizie riportate nei documenti e confrontando le opinioni dei diversi studiosi.
- Ricostruzione del reticolo stradale di età romana su una ortofoto di Bojano -
Gianfranco De Benedittis afferma che del reticolo stradale si possono ancora riconoscere almeno quattro assi longitudinali, posti a circa 58-60 metri di distanza l’uno dall’altro, con orientamento NO-SE:
1) via Erennio Ponzio che, data la conformazione del terreno, presenta il parallelismo con gli altri assi solo nel tratto iniziale;
2) via Gargaglia, via Colle, via Piaggia;
3) corso Umberto I, via Biferno (a causa della maggiore pendenza del declivio, l’ultima parte di via Biferno non mantiene l’allineamento);
4) corso dei Pentri, via Turno.
Pochi sono i tracciati trasversali attualmente individuabili; tra questi via Numerio Decimio, via VII Settembre, largo Pagliariello (alle spalle dell’abside della chiesa di Santa Maria del Parco).
L’estensione dell’abitato oltre corso dei Pentri è attestata da diversi ritrovamenti tra cui un mosaico policromo di età imperiale, scoperto nel 1954 durante i lavori di ricostruzione di un’abitazione prospiciente piazza della Vittoria (casa Velardo), rocchi di colonne ed altri resti archeologici in via Colonno (evento ricordato proprio nel toponimo), un frammento di muro in opera reticolata venuto alla luce nel corso di scavi effettuati per l’edificazione del Collegio Vescovile (Seminario) in via Barcellona. E, soprattutto, dal rinvenimento, nei pressi del ponte di corso Amatuzio, mentre si svolgevano i lavori di sistemazione del fiume Calderari (nel 1998, ma lo scavo è stato completato solo nella primavera del 2003), di un basolato stradale (A), risalente forse al I secolo d.C. (Anacleto Goffredo Del Pinto sostiene l’ipotesi di una datazione antecedente).
- Il decumano massimo al termine dei lavori di scavo (2003) -
La strada, posta ad una profondità di circa metri 3,50 dall’attuale piano di calpestio, presenta una larghezza che varia da 9,50 a 9,90 metri (da 14,30 a 14,70 se si considerano anche i marciapiedi laterali, margines).
Tali dimensioni - corrispondenti a quasi 50 piedi, l’unità di misura di lunghezza allora in uso - sono veramente eccezionali in ambito urbano; si pensi che a Roma, capitale dell’impero, città con più di un milione di abitanti, solo poche vie erano ampie - tra 4,80 a 6,50 metri - mentre tutte le altre erano piuttosto anguste.
Il lastricato (summa crusta) è costituito da grosse basole di calcare, generalmente irregolari (non mancano, tuttavia, alcune di forma pressoché poligonale), accostate senza legante; le crepidini che delimitano la strada - costituite da un allineamento di blocchi parallelepipedi - presentano un’alzata di circa 18 centimetri; il marciapiede, nell’unico punto in cui è stato rimesso in luce, è largo metri 2,40 e non conserva tracce di pavimentazione.
Il tratto scoperto ha orientamento NO-SE ed, inoltre, sembra collegarsi ad un altro pezzo di selciato (B) rinvenuto nel 1827 durante la costruzione del ponte Sant’Agostino, sull’attuale via Cavadini.
La notizia è riportata da Crescenzo Gentile, in un manoscritto del 1925; egli localizza con precisione una pavimentazione stradale (larga 10,67 metri), un impianto fognante che discendeva dall’abitato e degli enormi blocchi di pietra «tagliati a grandi archi», pertinenti forse ad una porta urbana (su questi considerevoli reperti non venne esercitato alcun tipo di tutela e furono, senz’altro, interrati di nuovo).
Risulterebbe, quindi, individuato un altro asse longitudinale (6) posto a circa 120 metri da corso dei Pentri, così da far supporre l’esistenza di una strada intermedia (5) tra i due.
Viste le dimensioni imponenti del lastricato portato alla luce, dovrebbe trattarsi di un frammento del decumanus maximus.
Le città di fondazione romana - o romanizzate, cioè fondate da altre civiltà ma cadute successivamente sotto il loro dominio, come nel nostro caso - sono caratterizzate dalla presenza di due grandi vie tra loro perpendicolari: il decumanus maximus (orientato da est ad ovest) e il cardo maximus (orientato da nord a sud); nel punto d’incontro si apre una vasta piazza: il foro, mentre gli altri settori urbani nascono dalla creazione di una maglia di decumani e cardines, più piccoli, paralleli ai due principali. Naturalmente questo schema non presuppone una rigidità assoluta che sarebbe in contrasto con la mentalità pratica dei Romani; per cui non è infrequente trovare delle irregolarità dovute soprattutto alle particolari situazioni topografiche (rilievi e corsi d’acqua).
La direttrice del decumano rinvenuto a Bojano coincide con quella del tratturo Pescasseroli-Candela, sul cui tracciato sarebbe stata realizzata la via consolare Minucia, una vera “autostrada” dell’antichità che prese il nome dal console M. Minucio Rufo e che fu costruita a partire dal 221 a.C.
Difficile è individuare, allo stato attuale delle conoscenze, il cardo massimo nello sviluppo urbano moderno; Oreste e Daniele Muccilli lo fanno sovrapporre, approssimativamente, a corso Amatuzio e situano, dunque, il foro nell’area compresa tra il Collegio Vescovile e il palazzo Colagrosso (qui sono state ritrovate cunette di pietra per lo scolo delle acque simili a quelle che delimitano l’area forense di Saepinim, oggi Altilia).
- Stele funeraria, I secolo d.C. -
Bovianum avrebbe racchiuso, dunque, tra le mura il tratturo (e la strada consolare); per il suo attraversamento, con molta probabilità, i pastori ed i mercanti erano obbligati a pagare un pedaggio. Entrando da Porta Aesernia si usciva a Porta Saepinum e viceversa; un altro fornice d’accesso sorgeva, verosimilmente, lungo l’attuale via Cavadini, oltre ponte Sant’Agostino, in corrispondenza con la strada che collegava Bovianum a Fagifulae e a Larinum.
La via Minucia, citata da Orazio, Cicerone e dal geografo greco Strabone è presente su molti itinerari antichi come quello Antoniniano (Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti, iniziato nel 217 d.C. e stampato per la prima volta nel 1521), quello dell’Anonimo Ravennate e, soprattutto sulla Tabula Peutingeriana.
Quest’ultima è una carta “da viaggio”, una mappa con la riproduzione della rete stradale romana, arricchita con simboli convenzionali che illustrano le caratteristiche fisiche e politiche dei territori attraversati; lunga quasi 7 metri e alta 34 centimetri (in un rotolo che si compone di 12 pergamene) rappresenta tutto il mondo allora conosciuto: dalle colonne d'Ercole fino all'estremo Oriente. L’originale, redatto tra il II e il IV secolo d.C., è stato perduto ma si conserva, presso la Hofbibliothek (Biblioteca Nazionale) di Vienna, una copia medioevale, pubblicata nel Cinquecento dall’umanista tedesco Konrad Peutinger (da cui deriva la sua denominazione).
- Percorso della via consolare Minucia nella “Tabula Peutingeriana” -
In essa viene, dunque, riportato - seppure con qualche imprecisione dovuta probabilmente al copista - il percorso della Minucia: Sulmone (Sulmona), Aufidena (Castel di Sangro), Esernie (Isernia), Bobiano (Bojano), Sepinum (Altilia di Sepino), Aequo Tutico (località identificata con Cave di S. Eleuterio, nei pressi di Ariano Irpino). Secondo alcuni studiosi - tra cui Oreste Gentile - dopo Sepino una diramazione proseguiva per Benevento ove si collegava alla via Appia che permetteva di raggiungere Brindisi.
Oggi, dopo appena sei anni dalla fine dei lavori di scavo, questa importantissima testimonianza del decumanus maximus - e quindi della via consolare Minucia o antico tratturo Pescasseroli-Candela - non è più visibile: sommersa dalle acque che filtrano dall’attiguo alveo del fiume e dal sottosuolo, ricoperta da alghe e fanghiglia. L’intera area rimessa in luce ospita una sorta di stagno; presto, se non si interverrà con adeguati provvedimenti (studiati da esperti del settore), verrà sepolta. Sparirà di nuovo il segno notevole che una cultura di duemila anni fa ha scritto su queste terre.
Alessandro Cimmino
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.
Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XXI, n. 4, aprile 2009, pp. 40-41.