LA CHIESA DEL CANNETO

 

L’insediamento ecclesiastico di Santa Maria di Canneto o del Canneto, come denuncia la stessa denominazione, si colloca nel paesaggio fluviale - un terreno una volta palustre sulla riva destra del Trigno -, a poca distanza da Roccavivara, nel medesimo ambito ove in età romana era fiorente una grande villa rustica, specializzata nella commercializzazione di vino ed olio.

È un luogo tra i più affascinanti del Molise: un alone di mistero circonda la fondazione, la storia, le stratificazioni architettoniche (ed anche le recenti operazioni di ripristino e di restauro) di tutto il complesso che al principio ospitò degli eremiti e, successivamente, un monastero dei Benedettini.

In origine, le prime notizie risalgono al 706 d.C., la chiesa era molto più piccola e comprendeva un’unica aula; nel tempo subì modifiche ed ampliamenti fino a raggiungere la conformazione definitiva nel XII secolo, in un clima di rinascita culturale ed economica, secondo i canoni dell’architettura romanica.

La pianta, mediante cinque colonne a destra e quattro robusti pilastri e una colonna a sinistra, si divide in tre navate terminanti in altrettanti absidi semicircolari.

- Santa Maria del Canneto, facciata -

La facciata a doppio spiovente, con conci sagomati di diversa grandezza, viene caratterizzata, in alto, da un semplice, piccolo oculo, affiancato da due protomi - mostri con caratteri somatici resi appositamente indecifrabili; quello a sinistra reca tra le zampe la testa di un toro, l’altro a destra la testa di un animale non precisabile - e, in basso, da un portale (realizzato con materiale di recupero, disposto in modo non regolare, difatti il complesso conventuale, come già accennato, sorse sul sito di una villa romana il cui funzionamento si protrasse a lungo, dal I al V secolo d.C.) sormontato da una lunetta decorata.

- Lunetta del portale principale -

In essa si collocano l’Agnello crocifero, emblema di Cristo sacrificato e risorto, e un leone alato, altro emblema di Cristo, definito nell’Apocalisse «leone della città di Giuda» (per alcuni studiosi, invece, questo mostro alato sarebbe l’immagine del male); sullo sfondo tre teste umane, forse San Casto (vescovo della vicina Trivento), San Primiano e San Firmiano, tre martiri cristiani, e due teste di animali una delle quali sembra raffigurare un bue. L’archivolto è decorato con un tralcio ricco di grappoli d’uva, simbolo della vita eterna, mentre sulla base un’iscrizione menziona l’abate Rainaldo, rettore del monastero tra il 1137 e il 1166, a cui si deve la costruzione dell’edificio.

Lungo tutti i muri esterni si possono osservare, disseminati qua e là, conci scolpiti con motivi geometrici, vegetali, zoomorfi, databili tra il VII e il IX secolo oltre a diverse iscrizioni di epoca romana e medievale.

La croce cerchiata innalzata sulla cuspide del tetto è di recente fattura e poggia su una stele decorata con una grossa corolla di margherita e, più in basso, con una composizione di foglie di quercia.

- Santa Maria del Canneto, interno -

L’interno presenta copertura a capriate (un tavolato in legno ha rimpiazzato le originarie canne alla fine dell’Ottocento); solo una parte della navata destra, in corrispondenza del campanile, sostiene una volta a botte. Il pavimento di mattoni venne sostituito con l’attuale in pietra nel 1934.

I capitelli delle colonne sul lato destro si differenziano l’uno dall’altro: il primo è decorato con foglie, caulicoli e una protome umana, il secondo ha, al centro, un piccolo rilievo circolare con soggetto non decifrabile, il terzo mostra su tre lati motivi vegetali e sull’altro una protome animale tra foglie, il quarto viene racchiuso da foglie angolari, il quinto, infine, è costituito dalla base di una colonna recuperata; tutti gli elementi sono resi in maniera grossolana e dimostrano che la struttura organica del capitello corinzio da cui sono, nella maggior parte dei casi, derivati non era più compresa. L’unica colonna dell’altra fiancata ha capitello liscio.

- Pianta della chiesa con la posizione, attuale e precedente, del pulpito e con i capitelli delle colonne -

Rilevante è il pulpito (larghezza m 3,80 - altezza m 3,85) sul lato sinistro della navata centrale, caratterizzato da quattro colonne che sorreggono tre archi (l’ultimo, più ampio e più alto, porta incisa, con caratteri carolingi, la data 1223: «anno domini millesimo duecentesimo vigesimo tertio»); anche in questo caso le decorazioni dei capitelli sono dissimili (l’unico elemento in comune è l’astragalo a forma di corda): su uno viene rappresentato un animale fantastico, con due corpi ed una testa, che azzanna una figura umana, sugli altri tre sono scolpite trine e foglie ora rigide ora dai movimenti sinuosi.

- Pulpito (particolare del parapetto) -

La parte superiore si suddivide in sette piccole nicchie separate da colonnine; all’interno di ogni nicchia, tranne nella centrale che presenta un leggio e i resti degli artigli di un’aquila (simbolo dell’evangelista Giovanni che come il rapace ha vista acuta e, ispirato da Dio, riesce sempre a vedere oltre), si trovano piccole sculture di monaci in vari atteggiamenti di preghiera e di lavoro: illustrano appunto la regola benedettina dell’ora et labora. Le figure mostrano una buona padronanza tecnica ma, anche se animate da pathos, appaiono rigide, scarsamente caratterizzate nonostante una certa attenzione alla resa dei dettagli.

- Pulpito, fianco sinistro -

Bassorilievi e formelle completano la composizione: sulla fronte, subito dopo l’ultima nicchia di destra, si nota uno strano essere, un drago alato dotato di testa umana femminile; sul fianco sinistro, al di sotto di una lastra con un ricercato tralcio di vite, un animale, su cui si innesta il busto di una figura umana (forse una donna) che indossa un particolarissimo cappello a punta, afferra la coda di un altro animale con la testa di un uomo. Tutte le cornici (come pure il leggio) sono intagliate con una fitta trama di motivi vegetali.

L’opera, così come la vediamo oggi, è il risultato del lavoro di artisti vissuti in epoche diverse oltre che del reimpiego di materiale scultoreo proveniente dallo spoglio di architetture più antiche.

La piccola tribuna fino al principio degli anni ’30 del Novecento era collocata in un’altra posizione: a ridosso della prima arcata della navata di sinistra ossia dentro il presbiterio, sul fianco dell’altare maggiore, dove svolgeva, probabilmente, la funzione di ambone (adibita non alla predicazione ma alla lettura del Vangelo). In quel periodo Don Duilio Lemme - arciprete di Roccavivara dal 1929 al 1962 - avviò, dopo un lungo abbandono, una serie di lavori di restauro e di ripristino che inclusero, tra l’altro, anche lo spostamento della tribuna.

- Il pulpito in una foto del 1931-

Molte di quelle operazioni, alla luce delle moderne teorie di restauro, sono inammissibili, ad esempio il rifacimento “stilistico” del protiro aggettante, in seguito per fortuna rimosso, del tutto lontano dalla tipologia dei protiri romanici nell’area dell’Italia meridionale.

Tuttavia alcuni esperti, tra cui Franco Valente, ritengono che il pulpito, casualmente o consapevolmente, sia stato ricollocato proprio nella posizione in cui si trovava nel 1223; in origine però esso, forse, era stato concepito e realizzato con un altro impianto compositivo, con gli archi del prospetto tutti uguali. Ad avvalorare questa ipotesi c’è la differenza di dimensioni - ancora più evidente in una foto scattata prima dello spostamento (1931) e pubblicata in un saggio di Michele Galluppi del 1941 - tra la parte inferiore della struttura portante, più lunga, e quella superiore del parapetto, più corta, anche considerando il terminale angolare di destra mancante (un piccolo fusto costituito da una serie di foglie sovrapposte, come si vede sul lato sinistro).

- Paliotto d’altare -

Sulla fronte dell’altare maggiore si può osservare un bassorilievo - un paliotto datato tra VII e X secolo, uno dei pochi motivi superstiti della chiesa primitiva - che secondo alcuni studiosi raffigura l’Ultima Cena, secondo altri un banchetto tra monaci. La lastra, incompleta, presenta evidenti tracce di calpestio poiché utilizzata a lungo come gradino dell’ingresso principale.

L’abside centrale in origine era affrescata e vi si apriva una monofora (simile a quelle delle due absidi laterali); anziani del luogo ricordano che il catino presentava un dipinto con un cielo stellato e una colomba in volo, più in basso una ghirlanda di fiori e, ai lati della monofora, una serie di figure di santi.

Sul lato sinistro della chiesa s’innalza la torre campanaria alta ben 25 metri (in origine era molto più bassa, l’aspetto attuale risale al XIV secolo come testimonia la data 1329 incisa su un concio). Ha pianta quadrata e struttura massiccia, ingentilita appena da due piani di trifore e dal coronamento con merli. Nella muratura sono state inglobate, oltre a lapidi e frammenti scultorei di età romana, le statue di due leoni (emblemi della resurrezione: si riteneva, infatti, che la leonessa generasse il suo piccolo morto e che dopo tre giorni giungesse il padre e con un ruggito lo destasse); esse, molto probabilmente, sorreggevano le colonne del protiro oggi perduto.

L’ampio parco che circonda il santuario accoglie tra i viali: platani, tigli, pini, aceri, pioppi, ibischi, oleandri, arbusti di ogni genere e in primavera si colora di rose, primule, viole, gerani, belle di notte.

La natura si armonizza perfettamente con i manufatti umani. Quando visiti questo posto ti accorgi di entrare in uno spazio senza tempo, in una sorta di oasi di pace, che infonde un senso antico di serenità.

Lo scorso anno sono stati celebrati nella piccola chiesa del Canneto (riaperta al culto nel 1935) oltre settanta matrimoni. Molte coppie non erano molisane né avevano legami con la regione, erano solo sotto l’influsso dell’incantesimo del luogo...

                                                                                                                                                                                           Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.

Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XXII, n. 5, maggio 2010, pp. 40-43.