LA MEdioevale bobiano
L’erudito Giovan Battista Pacichelli scrive, alla fine de XVII secolo, di Bojano: «[...] Hebbe la Gloria di esser Metropoli assai vasta, e ben ricca de’ Sanniti [...] Hoggi stà in piedi un altro Bojano, minor imagine dell’antico, che dimostra il suo fasto fin negli stritolati vestigj [...]».
Difatti, la cittadina, soprattutto a causa dei numerosi eventi sismici - i più disastrosi terremoti citati dalle fonti sono quelli degli anni 853, 1293, 1349, 1456, 1688, 1805 -, non presenta molte emergenze architettoniche.
Fatta eccezione per gli edifici religiosi, il patrimonio abitativo del centro antico, pur risultando interessante e suggestivo nel suo complesso, con le strade ancora lastricate in pietra e le ripide scalinate, è privo di fabbricati di particolare pregio. Anche le sedi di pubblici uffici e le residenze dei notabili, quelle che nel Catasto Onciario del 1744 sono definite «palagi», così come le vediamo oggi, sono il risultato di diversi processi di costruzione; pochi sono gli elementi che risalgono ad un periodo anteriore ai primi decenni del Settecento. Spesso sono solo le date incise sulle chiavi di volta dei portali, le poche sopravvissute, a testimoniare il tempo storico degli edifici che, per il resto, appaiono completamente rimaneggiati.
Comunque si può tentare di individuare il sistema urbano medioevale esaminando attentamente l’agglomerato odierno, analizzando le descrizioni contenute nei documenti e, soprattutto, confrontando disegni e planimetrie d’epoca (vedute, piante militari e reintegre del tratturo).
- Mura e porte della medioevale Bojano (ipotesi di ricostruzione) -
La cinta muraria, ad ovest, correva lungo l’attuale via Insorti d’Ungheria (già via Fiumarello) dove sopravvivono, inglobati nelle costruzioni pertinenti al complesso episcopio-chiesa dei SS. Erasmo e Martino, i contrafforti posti a rinforzo della struttura, databili XII-XIII secolo.
All’altezza di corso dei Pentri deviava e si svolgeva, a nord, lungo questo asse, includendo, con una sporgenza, la cattedrale e la chiesa di Santa Maria del Parco; proseguendo lungo via Turno, dove sono ben visibili contrafforti simili a quelli già menzionati, in corrispondenza della chiesa di San Biagio ripiegava di nuovo in direzione sud, verso la montagna. Di questo tratto si conservano una torre circolare (ora usata come abitazione) e resti di mura (non più osservabili dal basso) situate nella parte più ripida ed impervia del declivio che, proprio per l’inaccessibilità, non ha subito trasformazioni. Salendo ancora, all’altezza di via Piaggia, la murazione si allargava per inglobarne i fabbricati.
Sul lato meridionale, dato l’andamento orografico accidentato, probabilmente, non fu messa in piedi una cortina continua ma solo tratti di raccordo tra i dirupi che costituivano, già di per sé, una difesa naturale.
- Ubicazione di Porta Pasquino -
- Ubicazione di Porta della Torre -
Ad occidente si apriva Porta Pasquino, detta anche Porta Sant’Erasmo per la vicinanza con l’omonima chiesa, protetta da una massiccia torre a base quadrangolare (poi trasformata in campanile); verso la zona più alta dell’abitato, nei pressi di una torre circolare, di cui è possibile riconoscere la base, era situato un altro accesso detto, perciò, Porta della Torre. Ad oriente si apriva Porta San Biagio, anche questa così denominata per la prossimità all’edificio religioso omonimo.
- Ubicazione di Porta San Biagio -
Nel tratto settentrionale, poco discosta dalla chiesa di S. Maria del Parco, si innalzava Porta Santa Maria che esisteva ancora nel 1729, come ci è stato tramandato da un disegno del «regio e vescovile agrimensore» Francesco Germieri; vicino alla cattedrale sorgeva Porta di Visco, il cui toponimo a tutt’oggi sopravvive (via Porta di Visco), e che era ancora in sito nel XIX secolo come testimoniano l’Atlante della Reintegra dei Tratturi dell’anno 1811 e un disegno del 1829. È verosimile che, nel corso dei secoli, a queste porte si siano aggiunti altri varchi, infatti, nella già citata Reintegra, lungo via Turno, appare un’apertura di dimensioni ridotte (forse una postierla) in corrispondenza di una strada denominata «via della Porta del Sorce» (attuale vico Caputo).
- Ubicazione di Porta Santa Maria -
- Ubicazione di Porta di Visco -
La cinta muraria così strutturata venne a delimitare una ristretta zona situata alle falde della montagna di Civita che si erge a picco dietro l’insediamento urbano; l’abitato si attestò sulle prime balze del declivio, modellandosi “organicamente” alle curve di livello, su tre assi stradali dell’impianto di età romana.
La popolazione si addensò, dunque, in una piccola parte della vasta città antica, quella topograficamente più elevata e, perciò, meglio difendibile.
Le porte furono “razionalmente” aperte rispetto alle principali vie di collegamento: due sul tratturo (il cui tragitto era stato spostato verso sud), Porta Pasquino in direzione di Isernia e Porta San Biagio in direzione di Sepino e Benevento; una, Porta Santa Maria, in corrispondenza della strada per Campobasso e Larino; una, in alto, Porta della Torre, che consentiva di intraprendere il cammino per raggiungere Rocca Bojano sulla montagna di Civita.
Dopo il Mille, quando le condizioni politiche ed economiche lo permisero, cominciò ad aumentare la densità dell’abitato e sorsero numerose chiese - se ne conserva il ricordo di più di cinquanta costruite a partire dall’XI secolo - e diversi conventi che caratterizzarono fortemente il tessuto urbano. Le organizzazioni monastiche, in particolare, ebbero una grossa influenza sullo sviluppo successivo della città e del suo territorio.
Pochi erano gli slarghi, in quello situato nei pressi della chiesa di San Martino, oggi non più esistente perché distrutta dal terremoto del 1805, si svolgeva il mercato che venne, poi, trasferito nella “piazza” della cattedrale. Sul lato nord dell’edificio religioso sono conservate le antiche misure di capacità in pietra, i tomoli (usate per “pesare” la decima da pagare alla diocesi e le granaglie prima della vendita); una di esse, quella più grande, è stata ricavata dal basamento di una colonna di età romana.
Il Palazzo Ducale - che, in posizione elevata, domina largo Duomo - mostra ora una veste ottocentesca ma fu eretto nel XVI secolo su un edificio precedente, danneggiato, con molta probabilità, dal terremoto del 1456 (recenti lavori di restauro hanno svelato alcuni elementi della struttura originaria tra cui aperture con archi ogivali, cornici marcapiano ed un loggiato).
La cattedrale e quest’ultimo palazzotto, sommi simboli dell’autorità religiosa e del potere civile (per tutto il Medioevo, sino alla metà del Cinquecento Bojano fu il capoluogo del Contado di Molise) vennero a collocarsi quasi di fronte, su lati opposti del nuovo percorso del tratturo, variato rispetto a quello antico.
Bisogna rilevare, infatti, che a partire dal periodo della dominazione normanna si trovano documenti che attestano la ripresa della pastorizia transumante, interrottasi dopo la caduta di Roma, le invasioni barbariche ed i connessi effetti di insicurezza delle strade e di destabilizzazione generale.
- Veduta di Bojano tratta dall’Atlante della Reintegra del Tratturo Pescasseroli-Candela (1778) -
Il tratturo e la presenza di tanti corsi d’acqua (fiumi, rivoli, fossi e torrenti) costituirono, sicuramente, le caratteristiche peculiari che resero la piana di Boviano - o Bobiano come era detta dal «volgo men saputo» - oggetto degli interessi delle organizzazioni monastiche: sorsero grance, cioè fattorie fortificate che fornivano grano, ortaggi, carne, uova; imprese artigianali per la produzione di tessuti di lana ma anche di lino e canapa; numerose gualchiere o valchiere, impianti meccanici che, sfruttando l’energia idraulica, battevano le stoffe e le pelli con dei magli per renderle più compatte e, quindi, di maggior pregio; diversi mulini, gestiti sia dalla corte comitale che dagli ordini religiosi.
Retti da religiosi erano inoltre gli «spedali», cioè gli ospizi che avevano il compito di accogliere i viaggiatori, i mercanti e, in modo particolare, i pellegrini che si recavano in Terra Santa o verso i numerosi santuari dislocati sul territorio; troviamo attestati in città i «Pii Spedali» di San Bartolomeo dell’Ordine de’ Cruciferi nel 1366, di San Nicola nel 1408, di San Sebastiano nel 1495, di San Pasquale, di Sant’Agostino. Quest’ultimo, ancora esistente nel XVIII secolo, era collocato a ridosso della cinta muraria fuori Porta Santa Maria, gli altri in corrispondenza degli incroci viari. L’ospedale di San Bartolomeo dei Cruciferi, in particolare, pare sia stato edificato dai Cavalieri Templari con il fine di assicurare una struttura d’appoggio ai Crociati che si recavano a Gerusalemme e che utilizzavano l’itinerario del tratturo per raggiungere i porti di Bari e Brindisi.
Oltre le mura, attorno a poli formati da conventi, chiese, ospedali, grance, gualchiere e mulini situati lungo la via della transumanza, vero asse naturale di sviluppo, sorgeranno in seguito diversi borghi mentre la zona paludosa posta a nord costituirà per secoli, fino all’Ottocento, un ostacolo all’espansione in quella direzione.
Oggi, pochi sono in grado di riconoscere e leggere quei segni che gli uomini e i secoli hanno lasciato con le pietre e sulle pietre. Ma il complesso di manufatti ed attrezzature del centro antico di Bojano (come tanti altri centri spesso impropriamente definiti minori) costituisce un insieme di valori unico ed insostituibile, che porta storia e cultura, muto testimone d’un tempo in cui l’architettura, anche le creazioni anonime sorte spontaneamente dal gusto popolare, era l’arte capace di sintetizzare l’utile e il bello.
La società dei nostri giorni, purtroppo, tende a soddisfare i bisogni materiali, a far crescere solo la dimensione quantitativa e non quella qualitativa, ignora del tutto i valori che danno senso e significato alla vita, la bellezza - che certamente manca nell’edilizia dei quartieri moderni di Bojano - e l’arte che è la vera essenza della storia dell’uomo.
Alessandro Cimmino
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.
Articolo pubblicato sul trimestrale "Altri Itinerari", n. 12, primavera-estate 2007, pp. 26-31.