Isernia entro le mura

 

Il nome “Isernia”, secondo alcuni studiosi, deriverebbe dall’osco “Aiser” che significa divino, secondo altri, avrebbe origine da “Aesar”, radice etrusca di “Deus”,  sempre per intendere un luogo sacro; si tratta di ipotesi affascinanti ma fantasiose che potrebbero, forse, essere sostituite da un’altra più verosimile: “Bis Arnus”, ad indicare un abitato profilato da due fiumi.

La città sorge, difatti, su un rilievo che si allunga tra le valli di due brevi corsi d’acqua, il Carpino e il Sordo (confluiscono nel Cavaliere, affluente del Volturno), stretta tra ripidi pendii. Presenta una tipologia urbana “lineare a doppio pettine” o a “fuso di acropoli” che si riscontra anche in molte cittadine del Lazio, della Toscana e delle Marche.

La generatrice è rappresentata da un solo asse stradale longitudinale mediano, quasi rettilineo (oggi denominato corso Marcelli), che a sud prosegue verso Venafro e a nord incrocia il tragitto del tratturo Pescasseroli-Candela (l’attuale villa comunale è sita su suolo tratturale), sul cui tracciato sarebbe stata realizzata, in età romana, la via consolare Minucia, una specie di “autostrada” del tempo.

- Mura e porte della città medioevale di Isernia (ipotesi di ricostruzione) -

La nascita dell’impianto urbano è, dunque, palesemente legata alla pratica della transumanza e alla sua particolare ubicazione che la rende uno snodo fondamentale per il collegamento tra Campania e Lazio, da un lato, e Abruzzo, Molise e Puglia, dall’altro.

Isernia ha subito, nel corso dei secoli, diverse distruzioni - a causa di guerre, incursioni, saccheggi, incendi e terremoti - e ricostruzioni in sito ma, data la configurazione del terreno, ha sempre conservato la sua tipologia lineare. Con il mutare del caratteri edilizi e della densità insediativa il centro è cresciuto su sé stesso, dando vita ad un ricchissimo contesto di stratificazioni in verticale ma anche, purtroppo, a numerose cancellazioni delle fabbriche precedenti.

Sul solco primigenio che risale il dosso collinare si sono innestati slarghi e piazzette con le architetture più significative: la cattedrale, il municipio, i complessi conventuali, i palazzi dei notabili.

Per quanto riguarda l’età sannitica e quella romana (divenne colonia latina già nel III secolo a.C.) gli elementi arrivati fino ai nostri giorni sono pochi, soprattutto statue, epigrafi, cippi funerari; la murazione antica, a grossi blocchi trachitici parallelepipedi, emerge in più tratti del perimetro urbano permettendo di ricostruirne, con una certa precisione, il percorso. Possiamo localizzare il foro nell’area dell’attuale piazza Andrea d’Isernia (piazza del Mercato) ove il duomo è stato eretto sui resti del tempio di Giove. Il decumanus maximus coincideva, approssimativamente, con l’andamento di corso Marcelli; nella ripetizione regolare dei vicoli a questo ortogonali (unica eccezione vico Storto Castello) si riconosce una teoria di cardines.

- Resti delle mura ciclopiche antiche (spigolo sud-orientale) -

Dopo il crollo dell’Impero le città subirono una grossa trasformazione: si provvide a rinforzare le cinte murarie e ad abbandonare vaste aree extra-moenia per difendersi dalle incursioni dei barbari che vedevano in esse facili e ricche prede. Tuttavia non furono solo questi assalti a determinare la decadenza ed, in molti casi, la scomparsa dei nuclei urbani, bensì, soprattutto, la lenta ed inesorabile fine delle funzioni svolte quali punti nodali di un articolato sistema, quali centri organizzativi di tutto il territorio circostante.

L’unico soggetto pubblico cui poteva rivolgersi l’esigua popolazione rimasta divenne il vescovo che con il suo clero era - e sarà ancora per alcune centinaia di anni - il depositario della “romanità”. Il primo vescovo di Isernia citato nei documenti è Eutodio che nel 465 partecipò ad un concilio di papa Ilario I.

La cattedrale, l’episcopio ed il territorio intorno al foro (oggi piazza Andrea d’Isernia) vennero a costituire un polo di carattere religioso nella parte topograficamente più elevata della semidistrutta città romana; un altro polo di carattere civile si formerà - stando allo studioso Franco Valente - più tardi, in età longobarda (metà X sec.), quando fu istituita la Contea di Isernia ed eretta una fortezza - del tutto scomparsa - in un’area più meridionale, compresa tra via Occidentale e largo del Purgatorio, ove permangono i toponimi: vico Castello, rampa Castello, vico Porta Castello e vico Storto Castello.

Nell’847 un grande terremoto distrusse in gran parte l’abitato ed altri gravi danni furono prodotti nei decenni seguenti dagli attacchi dei Saraceni; in età normanna (XII sec.) Isernia entrò a far parte della più vasta Contea di Molise.

Nel 1223, al termine della lotta contro Tommaso da Celano, il ribelle conte di Molise, l’imperatore Federico II di Svevia ordinò - come ci riferisce il contemporaneo Riccardo di San Germano, monaco nell’abbazia di Montecassino - l’abbattimento delle mura della città che, inoltre, fu data alle fiamme «medietas», per metà.

Dunque la murazione medioevale che ancora oggi sopravvive (spesso inglobata nelle case che, a partire dal Settecento, vi si sono addossate), molto probabilmente, venne eretta in età angioina, alla fine del XIII secolo.

Possiamo studiarla su una preziosa fonte iconografica; si tratta della più antica immagine di Isernia che si conosca, quella contenuta in un’opera (tre volumi) curata da un erudito, l’abate Giovan Battista Pacichelli: Il Regno di Napoli in prospettiva. I tomi furono pubblicati dopo la morte dell’autore, nel 1703, e la veduta ci permette di poter rilevare la forma urbana alla fine del XVII secolo; in essa è ancora ben leggibile l’organizzazione della città nel Basso Medioevo.

- Veduta contenuta nell’opera del Pacichelli (1703) - 

La prospettiva a volo d’uccello inquadra Isernia da sud-est con l’architettura emergente -  religiosa e civile -, le piazze e buona parte della cortina muraria.

Vengono riportati ed esattamente collocati: il convento dei Cappuccini (A), la chiesa dei SS. Cosma e Damiano (B), il monastero dei Celestini (C), la chiesa di Santa Maria delle Monache (D), il Palazzo del principe (G) con la piazza antistante, il Palazzo vescovile (I) con il campanile della cattedrale e piazza del Mercato (L), la chiesa e il convento di Santa Chiara (M), il borgo di San Rocco (chiesa che sorgeva nell’attuale piazza Carducci) dove «si fanno le pergamine» (P), attività quest’ultima palesemente legata all’allevamento delle pecore e, quindi, alla transumanza.

Numerosi sono gli edifici religiosi oggi del tutto scomparsi: Sant’Onofrio (E, «S. Onufrio»), San Vincenzo (F), l’Annunziata (H, «Anunciata») e Santa Lucia (N).

La linea muraria sul lato orientale, seppure rovinata in più punti, ha la merlatura a protezione del camminamento di ronda e presenta ben sette torri circolari con muro a scarpa nella parte inferiore (ora è possibile individuarne quattro, di cui una del tutto rimaneggiata).

- Torre della cortina urbana (lato est) -

Tre sono i fornici di accesso su questo versante: il primo presso Santa Maria delle Monache, il secondo all’altezza della Cattedrale (Porta del Campanile) ed il terzo di poco al disotto di Santa Chiara (Porta della Fonticella), l’unico attualmente conservato.

                     

- Porta della Fonticella -

Il complesso monastico e la chiesa di San Francesco non sono evidenziati; è ipotizzabile che all’epoca fossero costituiti da fabbriche molto più modeste di quelle odierne (decisamente imponenti e subito identificabili).

Nei pressi di piazza del Purgatorio (ove sorgeva l’omonima chiesa riconoscibile solo per un piccolo campanile) pare che manchi un tratto della cortina - forse era crollato - e si nota una rientranza, un declivio con un terreno privo di costruzioni.

Sul lato meridionale la murazione mostra un avancorpo, una torre circolare e una porta (Porta da piedi o Porta Venafro) con un ponte che scavalca un fossato; quest’ultimo sembra generato dal fiume Carpino che adesso, però, scorre più a valle, ad una certa distanza dal luogo. Probabilmente venne realizzato un canale artificiale a protezione di un accesso importante, quello che, al principio dell’attuale corso Marcelli, si apriva sulla strada che poi, diramandosi, conduceva in Campania e nel Lazio.

Il lato a settentrione appare caratterizzato da una serie di massicci contrafforti che fanno supporre un ampio riutilizzo dei resti delle mura antiche; manca la porta a monte - Porta Maggiore che al termine di corso Marcelli permetteva di intraprendere il cammino sia per gli Abruzzi sia per Bojano, Campobasso e Benevento -, situata nei pressi della chiesa della SS. Concezione.

Il disegno, ovviamente, non fornisce informazioni sul versante ovest, opposto al punto di vista; tuttavia utilizzando, oltre a diverse fonti scritte, una pianta militare realizzata, agli inizi del XIX secolo, dal geografo regio Tommaso Zampi (custodita nella Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli), una pianta di Uldarigo Masoni del 1887 e, specialmente, la planimetria redatta nel 1875 per il primo catasto geometrico-particellare della città (conservata presso l’Archivio di Stato di Isernia) si può ricostruire l’andamento della cortina.

- Torre della cortina urbana (lato ovest) -

Il fronte occidentale presentava almeno le tre torri circolari oggi individuabili (in totale, forse, erano sette, in simmetria con il lato opposto) e almeno quattro accessi: Porta del Castello (al principio dell’attuale omonimo vicolo), Porta di Giobbe (anche questa al principio del vicolo con la stessa denominazione), Porta del Mercatello (l’unica ancora esistente in piazza Andrea d’Isernia) e Porta San Bartolomeo (vicino all’omonima chiesa scomparsa che si elevava in largo Ciarlante).

- Porta del Mercatello (o del Mercato) -

Ai nostri giorni si sta verificando un fenomeno che potremmo definire “inquinamento immaginifico”: siamo “bombardati” da stimoli visivi provenienti dalla pubblicità urbana, dagli schermi cinematografici e televisivi, dalle riviste, dai computer, dai telefoni cellulari.

Ai tempi del Pacichelli (1641-1695), invece, le immagini erano piuttosto rare; nella presentazione si afferma di aver trattato e descritto tutte le città e le 12 province del regno e si vanta l’inserimento di molte vedute (130) «diligentemente scolpite in rame», così come «si ritrovano al presente» (soprattutto città sedi di diocesi, perciò manca la veduta di Campobasso). Queste incisioni - in gran parte realizzate, su schizzi dell’autore o di altri, da Francesco Cassiano De Silva - costituiscono,  dunque, dei punti di riferimento utilissimi per l’analisi storica e, come abbiamo visto nel caso di Isernia, ci forniscono, seppure in maniera sintetica e schematica, una fedele rappresentazione della realtà (che trova piena conferma nelle planimetrie ottocentesche).

Una riproduzione grafica, spesso, può dare al lettore molti più particolari di quanto faccia una minuziosa fonte scritta, può aver fissato cose e luoghi che, pure rimasti immutabili per secoli, sono stati travolti o snaturati dagli eventi infausti o dalla modernità.

                                                                                                                                                                                           Alessandro Cimmino


Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Disegni, elaborazioni grafiche e foto, ove non specificato, sono dell'autore.

Articolo pubblicato sul mensile "Il Ponte", a. XXI, n. 6, giugno 2009, pp. 44-46.